Dal punto di vista geologico la Puglia costituisce la più estesa area affiorante dell’avampaese appenninico-dinarico. Si tratta di una porzione di crosta continentale a struttura regolare, frammento del supercontinente africano che prosegue anche nell’antistante area adriatica. In particolare nell’Italia meridionale, nel settore che comprende la Campania, la Basilicata e la Puglia sono presenti tre unità strutturali: la catena sud-appenninica, l’avanfossa adriatica meridionale (fossa Bradanica) e l’avampaese apulo. Questo sistema catena-avanfossa-avampaese può essere schematizzato come segue: l’avampaese apulo è rappresentato da tre settori: Gargano, Murge e Salento; l’avanfossa Adriatica dalla piana del Tavoliere e dai depositi calcarenitici ed argillosi del Pliocene superiore-Pleistocene inferiore e la catena appenninica dai suoi fronti più esterni, individuati dai Monti della Daunia.
Nella Puglia centro-orientale (Murge) affiora direttamente ed estesamente buona parte della potente successione del Mesozoico costituita quasi esclusivamente da calcari, sedimentatisi in ambiente di mare poco profondo e in particolare affiorano facies che si sono evolute durante tutto il Cretaceo inferiore in condizioni ambientali tropicali o sub-tropicali, con un clima caldo-umido ed un mare basso, popolato da una fauna marina composta per lo più da bivalvi ed invertebrati che hanno permesso la sedimentazione di fanghi e sabbie carbonatici.
In questo contesto geologico si inseriscono processi di natura geomorfologica che, a partire dalle parti più alte delle Murge, segnano il paesaggio pugliese con decine di incisioni più o meno profonde come se fossero profondi graffi nelle coperture carbonatiche Plio-Pleistoceniche ma incisi spesso sino ai calcari mesozoici del basamento, che in tutta la Puglia a sud dell’Ofanto sono chiamate “gravine”.
Le “gravine”, nelle attuali condizioni climatiche, hanno poche acque che saltuariamente però scorrono con impeto ed alta energia. In altre condizioni climatiche, relative ad un non recente passato, esse hanno fatto fluire più o meno grandi quantità di acque, in funzione di quelle disponibili al bilancio idrologico.
I processi che le hanno generate sono tanto articolati da richiedere per tali forme almeno la formulazione di due interpretazioni genetiche, con tutte le vie intermedie che sono proprie della classificazione delle forme dell’ambiente fisico.
Questi caratteri morfologici non possono che essere indizi di una differente genesi: infatti le “gravine”, le “lame”, i “valloni” con profilo a “V” sono, a tutti gli effetti, simili ai canyons nordamericani, solchi di sovra imposizione modellati dal fluire dell’acqua in regioni di sollevamento tettonico, con tendenza all’approfondimento adattando il loro profilo di equilibrio al livello di base rappresentato dal livello del mare. Il sollevamento regionale delle Murge interferendo con i ciclici abbassamenti del livello eustatico del mare, ha permesso che quelle acque, la cui quantità è stata condizionata da variazioni climatiche, scorrendo incanalate ed incassate, approfondissero il loro effetto erosivo sino a disegnare le bellissime e selvagge gravine di Laterza, di Ginosa, di Castellaneta, di Leucaspide sicuramente tra le più maestose forme di questo paesaggio fisico.
Invece le “gravine”, le “lame”, i “valloni” con profilo a “U” non recano i segni del flusso idrico sul fondo. Però i loro fianchi sono segnati da innumerevoli cavità di interstrato generalmente poco più alte di qualche decimetro ma molto allungate e approfondite in orizzontale; in esse la calcarenite ha perso la consistenza originale ed è sabbia, sciolta, a tutti gli effetti. Molte di quelle cavità sono state riutilizzate, una volta allargate all’Uomo, per ospitare interi villaggi rupestri, come quelli famosi della gravina della Madonna della Scala di Massafra, della gravina di Petruscio di Mottola, della gravina di Riggio e del vallone di Fantiano entrambi in agro di Grottaglie. Queste forme del paesaggio, non sono uguali alle prime: il flusso d’acqua è stato interstiziale lungo le superfici di strato delle calcareniti, dove la permeabilità è relativamente maggiore, tanto che lì l’alterazione e la dissoluzione carsica ad opere delle acque è stata concentrata al punto da far perdere le originali caratteristiche litologiche e da creare i vuoti che hanno favorito i crolli che diffusamente ne segnano i fianchi.
Queste “gravine”, “lame” e “valloni” sono classificabili invece con un termine inglese, sapping valleys, di difficile traduzione italiana: “valli da degradazione di interstrato”.